Sono le 5.30 del mattino e non riesco a chiudere occhio.
Voglio raccontare questa storia che mi ha tolto il sonno, non posso aspettare.
Il ragazzo nella foto si chiama Antonio Maio ed è morto a 33 anni qualche settimana fa.
Antonio faceva l'operaio per una ditta edile, aveva sposato l'amore della sua vita e messo al mondo il piccolo Domenico, la luce dei suoi occhi.
Di giorno lavorava in cantiere, di sera costruiva la sua casa, mattone per mattone, per dare un futuro migliore alla sua famiglia.
Il 25 luglio scorso, era una giornata caldissima, si reca al lavoro come ogni mattina. In pausa pranzo passa da sua moglie a prendere un caffè, spupazza di baci il piccolo Dodò e se ne va.

Tornato al lavoro comincia a stare male.
Dapprima pensa a un colpo di calore. Poi si rende conto che è qualcosa di più grave.
Un dolore al petto gli toglie il respiro.
Manda un messaggio a sua moglie Teresa, le scrive che sta andando al pronto soccorso di Praia a Mare perché non si sente bene.
Sono le 16.37.
Teresa, sua moglie, arriva un minuto prima di lui, si attacca al citofono del reparto ma non risponde nessuno.
Antonio si inginocchia, si porta la mano al petto, Teresa comincia a prendere a calci e a pugni la porta.
Qualcuno esce, le dice che quello non è modo di comportarsi, ma lei risponde disperata che suo marito ha un infarto in corso e non c'è tempo da perdere.
Finalmente, Antonio entra e il portone si chiude alle sue spalle.

Quello che è successo da quel momento in poi, lo stabiliranno i giudici; fatto sta che alle 17.25 viene dichiarato il suo decesso.
Antonio se ne va, con i suoi pochi anni, lasciando un vuoto incolmabile e una serie di domande, indegne di un Paese civile.
Se Antonio fosse entrato in una struttura senza un'insegna bugiarda all'ingresso, sarebbe ancora vivo?
Se fosse stato trasferito, sarebbe ancora vivo?
Se all'ospedale di Praia ci fosse stato un reparto di chirurgia, sarebbe ancora vivo?
Lo sapremo mai?

Decisa a raccontare la sua storia, ieri sera sono andata a trovare Teresa, che ora dovrà crescere il suo bambino da sola, trascinandosi addosso un peso insopportabile.
C'erano anche la mamma di Antonio, Imma, vestito nero e sguardo fisso nel vuoto, e papà Nazareno, che parlando del figlio continuava a piangere e a portarsi le mani in testa.
Il piccolo Dodò, ancora inconsapevole di ciò che è accaduto, continuava a chiamare il suo papà e a fare ciao ciao con la manina.
Ed io, stanotte, non riesco a togliermi dalla testa le loro voci e la loro disperazione.